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Trento, 6 novembre 2013
IL RUOLO DEL TRENTINO PER UNA REGIONE DOLOMITICA IN EUROPA
di Marco Boato

“Una regione dolomitica. Per una Europa civile: il ruolo del Trentino”: Un tema importante, di grande attualità – anche se poi è stato solo marginalmente affrontato nel confronto elettorale, che raramente ha guardato oltre i confini della provincia autonoma di Trento – e soprattutto di grande complessità. Un tema, proposto dall’Associazione Museo Storico in Trento, affrontato sotto il profilo storico, politico, istituzionale, amministrativo e anche specificatamente universitario, in un dibattito che ha visto una qualificata partecipazione, ma che avrebbe meritato una maggiore attenzione da parte di un mondo politico troppo avviluppato nelle proprie vicende interne.

Alla vigilia della campagna elettorale per le elezioni provinciali/regionali del 27 ottobre 2013, l’Associazione Museo storico in Trento ha promosso il 17 settembre 2013, nella prestigiosa Sala del Falconetto del Comune, un convegno dedicato a questo tema. Introdotto dal sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, e coordinato da Vincenzo Calì (promotore dell’iniziativa insieme a Roberto de Bernardis), il dibattito aveva come protagonisti la nuova rettrice dell’Università di Trento, Daria de Pretis, il rettore degli anni ’70, Paolo Prodi, anche fondatore dell’Istituto storico italo-germanico (ISIG) nell’ambito dell’allora Istituto trentino di cultura (ITC), ora Fondazione Bruno Kessler (FBK), il professore emerito del Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale, Pierangelo Schiera, e lo scrivente, quale componente della Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, che aveva proposto ed elaborato la più recente riforma dello Statuto di autonomia, entrata in vigore nel 2001.

Paolo Prodi ha giustamente ricordato il suo originario progetto di Università regionale e bilingue negli anni ’70, sostenuto da Bruno Kessler, ma che fu stroncato dai timori di Silvius Magnago – allora presidente della Provincia autonoma di Bolzano e Obmann della Svp - di snaturare la purezza etnica del Sudtirolo e magari anche dalla preoccupazione di “importare” a Bolzano le turbolenze dei movimenti studenteschi, che avevano caratterizzato il Trentino e l’Italia (ma anche l’Europa) di quegli anni.

Per parte sua, la rettrice attuale Daria de Pretis ha comunque ricordato la diversità del contesto politico e culturale di questa fase storica, che vede invece forti contatti e scambi tra le due province confinanti e parti di un’unica Regione a Statuto speciale. Se c’è un divario civile rispetto alla politica (e si è visto poi quanto sia accentuato, anche nel crescente fenomeno dell’astensionismo elettorale alle successive elezioni del 27 ottobre), divario a cui la stessa politica spesso non riesce a rispondere adeguatamente, c’è tuttavia una “missione” a cui può adempiere proprio l’Università. L’Università, prima di tutto sul piano scientifico e culturale, può contribuire a trovare ambiti territoriali di riferimento più adeguati, proiettandosi nella sfida europea e globale. E a questo proposito la rettrice de Pretis ha ricordato l’importanza dell’accordo estivo, sottoscritto ad Alpbach proprio dagli Atenei di Trento, Bolzano e Innsbruck, in una cornice euro-regionale.

Paolo  Prodi, nella sua riflessione storica sugli ultimi decenni, ha evidenziato tuttavia come in un Convegno tenutosi ancora nel 1992 a Bolzano, in coincidenza con la concessione della “quietanza liberatoria” da parte della Repubblica austriaca, con la quale veniva concluso ufficialmente il conflitto sudtirolese, fosse mancato qualunque riferimento al ruolo del Trentino, al quale pure si era riferito il nuovo impianto del secondo Statuto di autonomia del 1972, con le conseguenti Norme di attuazione. E questo nonostante a quel Convegno di confronto e riflessione storica e politica avessero partecipato anche esponenti trentini, come Renato Ballardini (egli stesso comparso poi nella sala del Convegno), che negli anni ’60 aveva fatto parte della “Commissione dei 19”. Commissione che aveva elaborato il “Pacchetto” di norme, le quali poi sarebbero state approvate, di strettissima misura, dal Congresso della Svp del 1969, quindi dai due rami del Parlamento e che infine avrebbero dato vita alla legge costituzionale di riforma del 1971 e al testo unificato del secondo Statuto di autonomia del 1972. Proseguendo la sua spietata analisi storica, assai disincantata, Paolo Prodi aveva concluso il suo intervento affermando che riteneva ormai in fase finale un intero ciclo storico, per cui tutti i parametri, su cui la politica trentina si era basata fino ad allora, avrebbero dovuto essere rivisti in tempi non molto lunghi.

Se la rettrice De Pretis ha proiettato la sua analisi sul futuro della cooperazione inter-universitaria nell’ambito euro-regionale e se Paolo Prodi ha riflettuto molto criticamente sul passato, anche recente, Pierangelo Schiera ha affrontato invece, con una dotta analisi politologica, come si pongono e sempre più si porranno i problemi concreti dell’amministrazione nella dimensione europea. E ha ammonito a non pensare tanto alla prospettiva europea in chiave di “statualità”, quanto in termini di amministrazione concreta dei problemi delle comunità.

Personalmente, tanto più avendo a disposizione la relazione conclusiva, ho ritenuto necessario ripercorrere in modo sintetico tutto l’arco temporale che va dall’Accordo Degasperi-Gruber del 1946 al varo del primo Statuto di autonomia del 1948, attraverso il conflitto sudtirolese degli anni ‘60, il “Pacchetto” del 1969 e l’approvazione del secondo Statuto del 1972, fino alla “quietanza liberatoria” austriaca del 1992 e alla formazione tanto dell’Euro-Regione alpina, quanto alla iniziale costituzione della Macroregione delle Alpi (confermata recentemente a Grenoble, dopo l’incontro di Bad Ragaz, in Svizzera, del 29 giugno 2012).

In questo quadro europeo e trans-nazionale, il ruolo della Regione “dolomitica” (rafforzata nella sua identità dal riconoscimento da parte dell’UNESCO delle Dolomiti come Patrimonio naturale dell’umanità) deve essere finalizzato a rafforzare la collaborazione a livello regionale sulle materie di comune interesse. E deve essere indirizzato a contribuire alla elaborazione, condivisa sempre a livello regionale, di un terzo Statuto di autonomia, che è impensabile possa essere elaborato separatamente dalle due Province autonome di Trento e di Bolzano. Tanto più che il nuovo dettato dell’art.103 dello Statuto, così come modificato nel 2001, recita che “l’iniziativa per le modificazioni del presente Statuto appartiene anche al Consiglio regionale su proposta dei Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano e successiva conforme deliberazione del Consiglio regionale”. Una iniziativa che dovrà essere poi rivolta al Parlamento nazionale, trattandosi della approvazione di una nuova legge costituzionale in materia statutaria, in base all’art. 116 della Costituzione.

Dal Convegno di Trento è venuta quindi una forte indicazione, di metodo e di merito, per le nuove istituzioni autonomistiche elette il 27 ottobre 2013, con l’auspicio che ne tengano conto sulla base di una rafforzata responsabilità politica e istituzionale, non solo a livello provinciale, ma anche nel quadro regionale che comprende le due Province autonome di Trento e Bolzano e nel quadro euro-regionale, che comprende anche il Tirolo austriaco.

Marco Boato

 

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